venerdì 31 marzo 2017

Maria Concetta Ucciardi, "Il crepuscolo dell’alba"; Giusy Lombardo "Maredentro"; Maria Patrizia Allotta " Il giglio e l’ortica" (Ed. Thule)

di Sandra V. Guddo

Tre donne, tre amiche, tre poetesse si sono messe alla ricerca, in modo diverso ma complementare, di quell’armonia che regola l’universo e sembrano avere timidamente trovato risposta con i loro versi in quell’Amor di cui cantò, molto tempo prima di loro, Dante Alighieri ( 1265 – 1321 )  che descrisse l’Amore come quella forza  che è  capace di  muovere “ il sole e l’ altre stelle “ .
Inevitabile non ricordarci della testimonianza molto più recente e assai vibrante di Albert Einstein ( 1879 - 1955 ) che, giunto in prossimità del suo percorso terreno, intuì da quel grande genio quale Egli era, che non tutto può essere riconducibile a complesse procedure aritmetiche o condensato in difficili  formule equazionali trovandosi in tal modo incredibilmente vicino a quanto aveva già scritto, secoli prima, il Sommo Poeta che ignorava i complicati logaritmi della matematica più avanzata!
Albert Einstein, nella lettera inviata alla figlia Leslie, dichiara che inutilmente gli uomini hanno cercato di spiegare l’universo con la sola forza dell’intelletto perché c’è un quid che sfugge a qualsiasi ragionamento e non si lascia imbrigliare in regole astratte ed in formule aritmetiche: quella forza misteriosa e potente è l’Amore. Fa paura l’Amore perché è l’unica forza che l’uomo non riesce a spigare completamente né  è  in grado di  controllare secondo i suoi desideri.
L’Amore è luce, l’Amore è gravità, l’Amore è potenza che consentirà all’uomo di trovare la via della salvezza dalle tenebre e dalla fine di ogni cosa.
Sono queste le riflessioni che sono immediatamente scattate dentro di me quando ho finito di leggere le tre sillogi poetiche, probabilmente perché la mia sensibilità è molto vicina alla loro per cultura o più semplicemente  per appartenenza di genere , essendo anch’io una donna.  Sto parlando di tre signore : Maria Concetta  Ucciardi, Giusi Lombardo e Maria Patrizia Allotta.
Tre Muse che con la  cetra ci hanno incantato, con le loro liriche che sono insieme musica e parole soltanto che la musica che accompagna i loro componimenti nasce dall’armonia che si sprigiona dal loro verseggiare.
Un poetare che colpisce perché appare insieme intenso e ritmico, lento e acuto, fluido e penetrante: in ultima analisi è proprio ciò  che caratterizza il loro modo di essere donne e poetesse che si distinguono proprio per il loro apparire, nello stesso tempo, lineari e controverse, trasparenti ed intellegibili, arieggiate e misteriose come lo sono le loro opere, edite tutte e tre dalla Fondazione Thule i cui titoli svelano e rivelano !

“ Il Crepuscolo dell’Alba “ di Cetti Ucciardi, un ossimoro solo apparentemente incomprensibile ma che indica, a mio avviso per come ho percepito ed assaporato il suo poetare delicato ed armonioso, la circolarità della nostra esistenza che oscilla tra buio e luce, tra crepuscolo ed alba. Ella infatti si pone pacatamente la domanda che da sempre assilla il genere umano sul senso della vita e della morte ma non esige, non pretende risposte: semplicemente accetta quello che altrove una Volontà Superiore ha stabilito; ciò le basta per ritrovare serenità non senza però qualche turbamento. Cetti Ucciardi trova nel poetare una ragione di vita che la spinge generosamente a mettere a nudo la sua anima e a svelare ai suoi lettori parti segrete di sé con l’intento  dichiarato di creare un ponte di comunicazione che possa essere di sollievo a chi soffre per la perdita di un caro amico o di un familiare molto amato. Ella vuole trasmettere un messaggio di luce e di speranza perché tutti i crepuscoli  sono sempre seguiti dall’alba che con la sua luce dissiperà il buio riaccendendo la fiaccola della speranza e della gioia che seppure a tratti la vita generosamente offre a chi sa accoglierla con animo puro.
“ Mare Dentro “ di Giusi Lombardo  racchiude nel titolo il mistero e la profondità del nostro navigare ma indica anche tutta la pienezza di chi, ricco della sua esperienza sedimentata negli anni, avverte il mare dentro con le sue onde che lentamente avanzano verso la spiaggia e ne mutano la sua configurazione: ogni granello di sabbia dopo essere stato sfiorato dalle acque del mare non sarà più lo stesso. Ella, dotata di una sensibilità particolare, avverte anche i più piccoli moti delle correnti marine che l’attraversano, la inquietano ed infine la cullano nel ritmo armonioso del suo eterno oscillare tra flussi e riflussi, tra le maree che si innalzano per poi ridimensionarsi e tornare al loro aspetto consueto dopo avere provato il brivido di essere diverso dall’abituale configurazione. Una versione al femminile dell’intrepido protagonista dell’Odissea che peregrina da un lido ad un altro sempre alla ricerca di quel quid indefinito che ciascuno di noi si porta dentro. Ebbene Giusi Lombardo con i suoi versi, ha avuto la capacità di estrinsecare il suo mondo interiore, di scandagliare gli abissi della coscienza umana  e di farcene dono con una semplicità ed una immediatezza comunicativa che non lascia indifferente anche il più superficiale dei  lettori.

il Giglio e l’ortica“ di Maria Patrizia Allotta  svela tutte le contraddizioni della condizione umana sempre combattuta tra scelte antitetiche ma dove la spinta ascensionale verso il divino diventa vincente sulle difficoltà del quotidiano andare tra amarezze, difficoltà e delusioni. Alla fine il giglio, simbolo di purezza e di salvezza, si erge vittorioso sul suo alto seppur fragile stelo, sulle asprezze della vita.
Senza scomodare il filosofo Blaise  Pascal, l’uomo con le sue debolezze sembra piegarsi  come una canna al vento ma non cede, non si spezza e resiste alla furia della tempesta senza che le sue radici profonde vengano sradicate anzi proprio da esse che affondano solide e sicure in un humus ricco e fertile, trae la forza per andare avanti seguendo il divino che è presente in tutto ciò che lo circonda. L’ortica sembra porsi decisamente in contrapposizione al giglio per il suo aspetto esteriore  poco piacevole alla vista e soprattutto in quanto essa risulta sgradevole  per  la sua caratteristica proprietà di essere pruriginosa al contatto ma nasconde in sé qualità medicamentose e salutari che vanno però ricercate al di là del primo impatto. Così è la poetessa Maria Patrizia Allotta che ci invita  ad andare oltre le apparenze per ricercare le essenze delle cose che spesso dietro un aspetto sgradevole nascondono proprietà salvifiche.
D’altra parte il giglio con il suo colore bianco splendente, che suggerisce immediatamente visioni di gioia è invece come sostiene Federico Garcia Lorca, il colore della pena.
Nelle sue poesie c’è dunque un forte richiamo a ricercare sempre la Verità che non appare ad occhi che non sanno guardare ma deve essere trovata con il linguaggio profondo e celato dell’anima.
Tre donne, tre amiche, tre poetesse  che con i loro versi superano le contraddizioni per andare alla ricerca, come nella migliore speculazione filosofica che procede per tesi ed antitesi, della più alta sintesi; versi che si confondono magicamente in un abbraccio panico con la Bellezza della natura a cui riconoscono il sigillo divino.

Maria Patrizia Allotta, "Il giglio e l'ortica" (ed. Thule)

da: "Il Settimanale di Bagheria", anno XVI n° 728, 5 Marzo 2017

Maria Patrizia Allotta, "Il giglio e l'ortica" (Ed. Thule)

di Franco Trifuoggi

Con questa pregevole raccolta (Il giglio e l’ortica, Thule Ed., Palermo 2016Maria Patrizia Allotta ritorna all'appuntamento con la poesia. Docente nel prestigioso liceo “Regina Margherita” di Palermo, collaboratrice del periodico “Spiritualità e Letteratura”, curatrice dei volumi Luce del pensiero, l’autrice, saggista e componente delle Giurie di molti premi letterari, ha curato, tra l’altro, il volume Essere nel mosaicismo, dialoghi con Tommaso Romano ed è Accademica di prestigiose Istituzioni.
Nelle trenta liriche di questa silloge, distribuite in due sezioni, Zolla dell’anima Incontri sul campo, risuonano le note di una poesia “alta e solenne, intima e dolente, forte e umile nel contempo” - come scrive Tommaso Romano nella lucida postfazione -, racchiusa nella “metafora del campo di ortiche, spesso aspre e pungenti, e del giglio del vero bene e, quindi, dell’armonia da non obliare al vento delle  contingenze”. Anche qui, come nella precedente silloge Anima all’alba, l’autrice rivela “un’acuta virtù introspettiva, attenta ad analizzare i moti più reconditi del fitto tramaglio del suo animo oltremodo sensibile”, e al dettato poetico “affida il compito di esprimere l’ansia e di tradurre la materialità del contingente in purezza di spiritualità”.
Già nella lirica eponima traluce, vivida, la presenza delle ortiche in “campi vuoti”, come la ricerca di “gigli essenziali”, fautori di lievi riposi: vi aleggia la mestizia del sentore di “albe che non sorridono più”, del vanire delle “possibili speranze” sotto l’incalzare dei turbini. E in Nient’altro una “strana / orchestra di emozioni” fa da “sottofondo delicato” all’invocazione del silenzio. E sormonta (Dipanare allora) la deplorazione della rovinosa assenza dell’ “orizzonte metafisico” nel trionfo della decadenza che connota la palude della modernità. Ma ecco che (Fiato all’alba) in un contesto scintillante di pensieri, dubbi, tensioni , alfine “fiato d’alba / apre luce al sole”, suscitando il fervore di un “nuovo entusiasmo” che alimenta il coraggio di “ogni sfida”, mentre (Aspra in marina) la solitudine in Aspra marina affranca dai veleni e dalle spine del male, e al “nero / di certe lingue”subentra lo splendore di tremule stelle, così come riaffiora il “pensiero assoluto / verso invisibile luce”. Un sentore di malinconia e di sconforto si diffonde, tuttavia, su un trittico di lacerti poetici (Sole d’agosto; L’ultimo mare; Dieci agosto): è triste il sole di agosto che più “non sfavilla / fino a tardo meriggio”; non sorridono più come prima “le acque settembrine”, sono “reminiscenze i sogni”, mentre l’ombra avvolge il mare e il silenzio angoscioso “prende l’anima”; “sempre più distanti”, le stelle cadenti “neanche per San Lorenzo” donano speranza, ai papaveri rossi subentrano “crisantemi in nero prato”. Sentimenti diversi esprime il trittico consacrato a festività religiose (Insolito Natale; Epifania; Ognisanto): un dicembre gelido, spoglio di doni e di decori, ove prevale lo sgomento nell’attesa della guarigione; l’avvento di “nuova stella Cometa” con purificante dono di incenso, e “balsamico profumo…tra i corpi insanguinati” nel segno dell’attesa di una “redenzione umana / forse ancora possibile”; nel tiepido Novembre la preghiera tacita consolida “i ricordi / dei cari andati” nell’estasi di un incontro che dissipa “le beffe demoniache” e disperde il dolore. E con Maia la prima sezione si chiude nel lucore di una nuova alba e nel tepore del sole con il rifiorire della speranza e il trionfo del vivere e della poesia: nonostante tutto, “gli intelletti sperano ancora, /poetando”.
La seconda sezione vede l’intenso respiro di alta spiritualità dell’autrice animare non soltanto la riflessione sulla propria interiorità, ma anche la dipintura della sensibilità delle persone amate come in un tacito, sottinteso dialogo, e anche la partecipazione all’angoscia di un “drammaturgo eterno” e al dramma di una donna uccisa: un panorama cangiante, illuminato tuttavia dalla meditazione esistenziale dolente e insieme anelante con vigore al superamento del buio dell’incomprensibile destino, all’infinito e all’eterno, all’incontro vivificatore e pacificatore con la Verità. Come in Respiro (A Fabio mio) il corpo resiste ai “patimenti” nell’intravedere “il nettare dell’impalpabile senso / che desta Verità”, e l’angoscia viene dissipata dal chiarore di una melodia; così in Primavera attesa (A me stessa) si celebra l’attesa fiduciosa di un tepore foriero dell’avvento di nuove primavere. E in Nobiltà (A mio padre) rivive il vigore dell’attesa nella connotazione di una nobiltà persistente “secondo il verbo / dei padri” e ravvisata nella condotta di colui il quale, nonostante la propria “odissea esistenziale”, riesce, comunque, a contemplare “la luce fioca / di ogni Tramonto”, attendendo, “sempre con lo stesso coraggio, determinazione e volontà”, i bagliori di un’ “Alba” che ancora una volta “desteranno in Lui meraviglia, stupore, commozione per il Cosmo tutto”. Un ardire, un coraggio che sostengono l’autrice rinfrancata dagli “obblighi  / che costringono” (Il treno ha fischiato). La nobile figura del suo Maestro “senza meta”, Gonzalo Alvarez Garcia, ispira, poi, i versi di Errantia. La rinascita dell’alba conclude un’ appassionata consolatoria (Silenzio), tenera esortazione a una Dirigente perché cerchi la pace “eliminando ogni falsa speranza”. E il dramma del vivere, la crisi di un io consapevole che “l’esserci / teatro già è°, riflesso nel dipinto di “un flusso vitale / che travolge anche la forma” trova accenti ammirati in Pirandello. Chiude la silloge, nel segno dell’attualità, La durlindana del dolore, con una amara, suggestiva sequenza impressionistica che scolpisce in successione assorta di visioni, riflessioni e accenti gnomici, il ritmo tragico di un femminicidio in cui “si specchiano / nuovi labirinti”.
Il dipanarsi della “nitida spola” della sua esistenza, ove le pene sono costellare da “indicibili gioie”, del tutto aliena dall’indulgere a quello che Luca Caniato definisce “autocapestro metrico”, si manifesta in un ductus lirico che ne asseconda con docile duttilità il vario articolarsi: fluisce spesso entro un periodare limpido e disteso, o si compiace talora dell’ariosa misura di un adagio descrittivo, e raramente si rapprende, caricandosi di ellissi e di analogie, in una tensione verso l’essenzialità, che rischia di comprometterne la pervietà semantica, ma non mai smarrisce il suo timbro personale. Anche in questa, come nella precedente silloge, il susseguirsi delle inquietudini, delle emozioni e degli stupori si rispecchia nella suggestione dello spettacolo iridescente della natura. Donde l’incanto di questa poesia nasce spesso dall’osmosi pacata tra l’intensità degli affetti e la variegata autenticità delle parvenze naturali, ma trova momenti di grazia anche quando la parola accarezza con la soavità tutta femminile la trepida vicenda di attese e delusioni, di commozione e “rinnovata speranza”. E questo sormontare – pur nell’ “odissea esistenziale” – della luce di albe e del fervore di speranze trova una parola chiave che ne sintetizza il faticoso emergere: “nonostante”. Accanto ad essa, significativamente rivelatori dell’oscillante vicenda psicologica  appaiono stilemi come “labirinto di dubbi fatali”, “inedia spirituale”, “l’estasi dei momenti d’oro”, “rigenerante futuro”, “madreperlati ardenti cieli”, “l’amara diaspora dialettica”: esempi felici di una oraziana virtù di incisivi accostamenti lessicali; mentre qua e là pare balenare, discreta, una nostalgia di canto nella suggestione di qualche assonanza (“prevale…andare”; “cedere…cenere”; “esistenziale…contemplare”) o di cadenze litaniche e di clausole monosillabiche.


Una silloge, dunque, questa, che rivela nell’autrice – come scrive nella dotta prefazione Gonzalo Alvarez Garcia – “la signora del suo stile”: essa, infatti, mentre conferma la scaltrita perizia letteraria e il profondo spessore culturale di Maria Patrizia Allotta, è segno inequivocabile di una singolare purezza spirituale e tensione metafisica che sanno tradursi in originalità di accenti lirici.