mercoledì 3 giugno 2015

Il significato del senso

di Maria Patria Allotta

Basta volgere lo sguardo al passato per dimostrare come ogni uomo, nel bene o nel male, durante la sua vita lascia un “segno”, un’ “orma”, un’ “impronta”, una “traccia” della propria esistenza.
In effetti, secondo la moderna psicologia cognitiva e comportamentale è insito nell’uomo lasciare “segni”. Non a caso, infatti, davanti un vetro appannato il bambino (ma anche l’adulto) disegna qualcosa lasciando una “traccia”; non a caso con le sue manine unte traccia “segni” sull’abito che indossa, così come non a caso lascia “segnali” sui muri o sulla carta oppure, stampa l’“orma” dei propri piedini nella sabbia bagnata dal mare che inonda, dolcemente, il suo sé. Nel tempo poi, a seconda dei sentieri che si percorrono e dei mari che si attraversano, ognuno, esprime e comunica le proprie sensazioni, emozioni, stati d’animo e la stessa ragion d’essere attraverso svariati gesti e diverse opere, tutti “segni”, comunque, che possono cancellarsi in un attimo così come perdurare nella memoria di chi li respira.
Sicuramente, il “segno” lasciato attraverso l’Arte assume un valore fondante, soprattutto se viene inteso come meta filosofica, ovvero intuizione capace di attingere le profondità originarie della vita.
 Se l’opera generata possiede poi il senso dell’infinito, quello è “segno” sublime, perché in esso è possibile rintracciare l’Indefinito.
 E volendo riflettere, l’universo altro non è se non un’immensa opera d’arte generata come “segno” da quell’Artista Cosmico di cui, per l’appunto, l’artista umano è il suo riflesso tanto da possedere, in parte, gli stessi attributi: la creatività e l’infinità.
Infatti, nella creazione estetica l’artista risulta in preda ad una forza inconsapevole che lo ispira e lo entusiasma al tempo stesso, facendo sì che la sua opera si presenti come sintesi di un momento inconscio - ovvero l’ispirazione - e di un momento conscio - ovvero l’esecuzione - del “segno” dell’arte. Inoltre, il genio concretizza la sua vocazione in forma finita la quale però, essendo rivelazione dell’infinitezza dell’ispirazione, ha infiniti significati, che l’artista stesso non riesce a penetrare pienamente e che sono suscettibili di una lettura senza fine.
 L’intero fenomeno dell’arte - che è un produrre spirituale in modo naturale - rappresenta, allora, non soltanto l’appagamento innato e istintivo di lasciar “traccia del propri sé”, quanto la miglior chiave per intendere la struttura del Sacro che, per dirla come Schelling, rappresenta sintesi differenziata di natura e spirito: “ (…) l’arte - dice il filosofo - è quanto si ha di più alto, poiché essa apre all’uomo il santuario dove, in eterna ed originaria unione, arde come in una fiamma, quello che nella natura e nella storia è separato”.
Se l’Assoluto è una sorta di Artista cosmico che genera le cose del mondo in maniera inconsapevole e consapevole al tempo stesso, caratterizzandosi come una forza infinita che si specifica in infinite figure finite, l’artista umano, si configura oggettivamente come colui che incarna e concretizza meglio il modo d’essere dell’Assoluto.
 Allora, nella creazione artistica si ripete il mistero stesso della creazione del mondo da parte dell’Assoluto. L’Arte, dunque, come sacralità del Sacro. Da qui la sua importanza.
E’ amaro però dovere constatare che, in un tempo apocalittico come quello che stiamo vivendo, quando ogni coordinata esistenziale viene scardinata violentemente e ogni tradizione ignorata sistematicamente, l’arte, sempre più spesso, non assume più quella dimensione e quel valore totalizzante che la rende “segno” unico ed insostituibile, “impronta” di stupore venerante, “orma” 56 n Rassegna Siciliana di Storia e Cultura uova 57 di bellezza seducente, “traccia” d’accesso alla Verità. L’arte, piuttosto, oggi, si configura come rivelazione soggettivamente valida, espressione confusa e artificiale, estrinsecazione di una libera manifestazione interiore che, però, essendosi svincolata dai canoni etici, dagli statuti estetici, dai limiti esistenziali e dai confini spirituali, sfiora (a volte raggiunge pienamente) la banalità e lo squallore, la trivialità e la miseria, ma anche la volgarità e la desolazione, dando spazio a precarie istallazioni, a sciatte rappresentazioni grafiche e pittoriche, a parole senza Verbo, che pretenderebbero di rappresentare la complessità del Cosmo, ma a onor del vero, riproducono il vuoto, il nulla, il niente concretizzatosi come pseudo arte.
Non più creatività universalmente valida, ma pragmatica rappresentazione concreta, non più estro indefinito ed indefinibile, ma stimolo materialmente invadente, non più arte che “come verità e stile promuove e svela”, ma mestiere che per sopravvivere mortifica, molesta, offende per fino la fede altrui.
 Non più nobile “segno” ma preoccupante “sintomo”.
Così scrive Tommaso Romano nella rivista Palermo, nel lontano Gennaio 1999: “(… ) bisogna reagire alla dissoluzione e al minimalismo: l’artista ha una sua cifra personalissima ed irripetibile, ma deve testimoniare la resistenza allo spirito sepolcrale, incomprensibile di certo sperimentalismo vuoto, segni di una decadenza marchiata dall’indifferenza, dalla perdita di senso e dal nichilismo. Bisogna recuperare l’aristocrazia del bello”.
Lottiamo insieme, allora, contro la dissoluzione, il volgare minimalismo, lo sperimentalismo beota, la vuota indifferenza, contro ogni forma di blasfemia anche, per il trionfo di un “segno” imperituro che possa scolpire le coscienze e i cuori e generare quell’armonia e quella bellezza ormai, nostalgicamente, lontane.
da: Rassegna Siciliana di Storia e cultura www.isspe.it

Nessun commento:

Posta un commento