di Maria Patria Allotta
Basta volgere lo sguardo al passato per dimostrare come ogni
uomo, nel bene o nel male, durante la sua vita lascia un “segno”, un’ “orma”,
un’ “impronta”, una “traccia” della propria esistenza.
In effetti, secondo la moderna psicologia cognitiva e
comportamentale è insito nell’uomo lasciare “segni”. Non a caso, infatti,
davanti un vetro appannato il bambino (ma anche l’adulto) disegna qualcosa
lasciando una “traccia”; non a caso con le sue manine unte traccia “segni”
sull’abito che indossa, così come non a caso lascia “segnali” sui muri o sulla
carta oppure, stampa l’“orma” dei propri piedini nella sabbia bagnata dal mare
che inonda, dolcemente, il suo sé. Nel tempo poi, a seconda dei sentieri che si
percorrono e dei mari che si attraversano, ognuno, esprime e comunica le
proprie sensazioni, emozioni, stati d’animo e la stessa ragion d’essere
attraverso svariati gesti e diverse opere, tutti “segni”, comunque, che possono
cancellarsi in un attimo così come perdurare nella memoria di chi li respira.
Sicuramente, il “segno” lasciato attraverso l’Arte assume un
valore fondante, soprattutto se viene inteso come meta filosofica, ovvero
intuizione capace di attingere le profondità originarie della vita.
Se l’opera generata
possiede poi il senso dell’infinito, quello è “segno” sublime, perché in esso è
possibile rintracciare l’Indefinito.
E volendo riflettere,
l’universo altro non è se non un’immensa opera d’arte generata come “segno” da
quell’Artista Cosmico di cui, per l’appunto, l’artista umano è il suo riflesso
tanto da possedere, in parte, gli stessi attributi: la creatività e l’infinità.
Infatti, nella creazione estetica l’artista risulta in preda
ad una forza inconsapevole che lo ispira e lo entusiasma al tempo stesso,
facendo sì che la sua opera si presenti come sintesi di un momento inconscio -
ovvero l’ispirazione - e di un momento conscio - ovvero l’esecuzione - del
“segno” dell’arte. Inoltre, il genio concretizza la sua vocazione in forma
finita la quale però, essendo rivelazione dell’infinitezza dell’ispirazione, ha
infiniti significati, che l’artista stesso non riesce a penetrare pienamente e
che sono suscettibili di una lettura senza fine.
L’intero fenomeno
dell’arte - che è un produrre spirituale in modo naturale - rappresenta,
allora, non soltanto l’appagamento innato e istintivo di lasciar “traccia del
propri sé”, quanto la miglior chiave per intendere la struttura del Sacro che,
per dirla come Schelling, rappresenta sintesi differenziata di natura e
spirito: “ (…) l’arte - dice il filosofo - è quanto si ha di più alto, poiché
essa apre all’uomo il santuario dove, in eterna ed originaria unione, arde come
in una fiamma, quello che nella natura e nella storia è separato”.
Se l’Assoluto è una sorta di Artista cosmico che genera le
cose del mondo in maniera inconsapevole e consapevole al tempo stesso,
caratterizzandosi come una forza infinita che si specifica in infinite figure
finite, l’artista umano, si configura oggettivamente come colui che incarna e
concretizza meglio il modo d’essere dell’Assoluto.
Allora, nella
creazione artistica si ripete il mistero stesso della creazione del mondo da
parte dell’Assoluto. L’Arte, dunque, come sacralità del Sacro. Da qui la sua
importanza.
E’ amaro però dovere constatare che, in un tempo
apocalittico come quello che stiamo vivendo, quando ogni coordinata
esistenziale viene scardinata violentemente e ogni tradizione ignorata
sistematicamente, l’arte, sempre più spesso, non assume più quella dimensione e
quel valore totalizzante che la rende “segno” unico ed insostituibile,
“impronta” di stupore venerante, “orma” 56 n Rassegna Siciliana di Storia e
Cultura uova 57 di bellezza seducente, “traccia” d’accesso alla Verità. L’arte,
piuttosto, oggi, si configura come rivelazione soggettivamente valida,
espressione confusa e artificiale, estrinsecazione di una libera manifestazione
interiore che, però, essendosi svincolata dai canoni etici, dagli statuti
estetici, dai limiti esistenziali e dai confini spirituali, sfiora (a volte
raggiunge pienamente) la banalità e lo squallore, la trivialità e la miseria,
ma anche la volgarità e la desolazione, dando spazio a precarie istallazioni, a
sciatte rappresentazioni grafiche e pittoriche, a parole senza Verbo, che
pretenderebbero di rappresentare la complessità del Cosmo, ma a onor del vero,
riproducono il vuoto, il nulla, il niente concretizzatosi come pseudo arte.
Non più creatività universalmente valida, ma pragmatica
rappresentazione concreta, non più estro indefinito ed indefinibile, ma stimolo
materialmente invadente, non più arte che “come verità e stile promuove e
svela”, ma mestiere che per sopravvivere mortifica, molesta, offende per fino
la fede altrui.
Non più nobile
“segno” ma preoccupante “sintomo”.
Così scrive Tommaso Romano nella rivista Palermo, nel
lontano Gennaio 1999: “(… ) bisogna reagire alla dissoluzione e al minimalismo:
l’artista ha una sua cifra personalissima ed irripetibile, ma deve testimoniare
la resistenza allo spirito sepolcrale, incomprensibile di certo sperimentalismo
vuoto, segni di una decadenza marchiata dall’indifferenza, dalla perdita di
senso e dal nichilismo. Bisogna recuperare l’aristocrazia del bello”.
Lottiamo insieme, allora, contro la dissoluzione, il volgare
minimalismo, lo sperimentalismo beota, la vuota indifferenza, contro ogni forma
di blasfemia anche, per il trionfo di un “segno” imperituro che possa scolpire
le coscienze e i cuori e generare quell’armonia e quella bellezza ormai,
nostalgicamente, lontane.
da: Rassegna Siciliana di Storia e cultura www.isspe.it
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