Di Maria Patrizia Allotta
L’età dei grandi furori\ Come lo scrittor sia giunto a
ritrovar Cristo; Papini postumo. Così si intitolano i tre capitoli che uniti
insieme, in perfetta armonia, danno vita al saggio Papini un uomo... infinito,
dove l’autore Vincenzo Arnone, consegna ad ogni suo possibile lettore non
semplicemente la storia ma piuttosto l’esistenza di quel “rospo pensoso e
scontroso” mai stato bambino che col trascorrere degli anni diventa vecchio
“gigante quasi sconfitto, Sansone privo di forza”. Una voce bassa ma sicura, un
tono garbato ma incisivo, una frequenza lenta ma ben ritmata, uno stile franco
e autentico, accompagnano tutte le pagine di questo libro che costantemente
odora di un corpo trasudato, turbato, strapazzato, ma al contempo profuma di
un’ anima inquieta e tormentata, indipendente e libera. Un corpo mortificato da altri corpi attraverso
attacchi, critiche, battaglie culturali, giudizi severi; un’anima, eletta da
un’altra Anima, che si conforta attraverso la ricerca incessante della verità
e la contemplazione dell’Assoluto. Un corpo “finito” che vive in situazioni
umane dettate da un tempo inquietato anche dalla guerra e da uno spazio ridotto
e circoscritto; un’anima “infinita”, immersa in un mondo profondamente intimo
che non conosce confini di nessun genere.
Un corpo con una mente ben
strutturata; un’anima con un alito scarcerato. Carne forse straziata, spirito
sicuramente eterno. Sono corpo e anima, carne e spirito, mente e pensiero,
finito e infinito di Giovanni Papini, che Vincenzo Arnone, non
aprioristicamente condizionato, analizza con fare scrupoloso e con atteggiamento
paterno, che diviene ora severo ora amoroso, nei confronti di quel figlio di
cui molto vuole raccontare: dal 1881 al 1956, dalla invissuta fanciullezza
alla malata vecchiaia, dalla prima formazione alla lettura dei grandi maestri,
dall’adesione al Futurismo al periodo delle riviste all’era delle grandi
opere. E poi, dalle preziose amicizie esaltanti che lo portarono a ritrovar
Cristo e una nova vita agli inchiodanti nemici che lo accompagnarono fino alla
morte, dal “bordeggiare sull’acque agitate del mare buio” all’apparire “di qualche
luce” fino all’approdo e all’ “abbraccio di tutte le tensioni verso l’Alto e
l’Infinito”. E sembra dispiacersi l’autore quando racconta la nota
stroncatura, l’esagerata spavalderia, l’ingiustificata arroganza, la folle
presunzione, il fare profetico e lo stile radicale e aggressivo del
protagonista del suo testo; ma si compiace, invece, quando narra la salda
cultura, la conoscenza sconfinata, l’entusiasmante audacia e volontà, la
perenne forza e l’indiscutibile dignità dell’eroe del suo lavoro. Quella di
Vincenzo Arnone non è dunque una generica biografia che mette insieme date ed
eventi, fatti e notizie, non è la somma di vicende e vicissitudini di un uomo
colto, laico e poi pure cattolico di nome Papini. Ma è di più. È anche, forse
soprattutto, l’insegnamento di come un pensatore può diventare “aquila che
insegna come si può fissare il fulgore d’iddio senza restare accecati e come
si può dar la scalata al cielo sull’ali della contemplazione”; e ancora, di
come un intellettuale può divenire “un maestro di dottrine volte al
miglioramento degli spiriti, un suscitatore di quelle passioni più alte che
sole possono contrastare e affievolire se non spegnere quell’ altre passioni
più comuni, che portano al basso”; e infine che “la vita è gioia e l’infelicità dell’uomo consiste proprio in questo: nella sua incapacità di accorgersi di quanto
potrebbe essere felice”se solo riuscisse a convincersi che “soprattutto
l’impossibile è credibile.” Papini forse è maestro quasi dimenticato, ma quella
sua è sicuramente lezione eterna e per questo infinita. E Vincenzo Arnone tutto
questo lo sa e lo racconta.
da:"Spiritualità & Letteratura", anno XX n° 58, maggio-agosto 2006
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